Cult of Done
Con questo post imparerai… che “Cult of Done”, uno dei manifesti motivazionali più in voga, in realtà è pieno di errori. Non bisogna subìre ogni cosa che ci viene proposta.

Conosci il manifesto “Cult of Done” (culto delle cose fatte) creato dall’imprenditore Bre Pettis e dalla sua compagna Kio Stark? E’ un documento che cerca di spiegare il processo creativo. Pettis ha individuato 13 regole che se applicate, secondo lui, possono spingere le persone al successo.
Personalmente, però, ritengo il “Cult of Done” un perfetto specchio della società attuale, quella basata sulla velocità più che sulla qualità, mentre io ritengo che certamente la velocità sia importante, ma la qualità lo è anche di più. Per come la vedo io sono 13 regole sbagliate perché partono da presupposti concettuali errati, anche pericolosi. Ecco perché ho ideato le 10 regole per Agire con Successo e smettere di lamentarci basandomi sulla mia storia personale e sugli insegnamenti ricevuti dai grandi professionisti incontrati nella mia vita.

Chi è l’autore del Cult of Done
Bree PettisSi chiama Bre Pettis ed è stato uno degli uomini che per primi hanno puntato sul successo delle stampanti 3D. Ha redatto il “Cult of Done” (culto del completato) insieme alla compagna Kio Stark in 20 minuti mentre erano a letto “in uno di quei magici momenti di scrittura dove avevo il laptop aperto e le nostre idee volteggiavano sulla pagina” come ha spiegato lui stesso.

 

Le 13 regole del Cult of Done

  1. Ci sono 3 stati dell’essere: non sapere, agire e concludere.
    “Non sapere” non è un propulsore all’azione tout-court, ma è una spinta a sapere, a studiare, a conoscere ciò che è stato. Agire quando “non si sa” è un’azione adolescenziale, quando si pensa di essere più bravi di chi ha studiato o di chi ha esperienza. Agire senza sapere aumenta il rischio di errore.

    Non sapere porta alla conoscenza. La conoscenza porta all’azione. L’azione porta alla conclusione.
  2. Accetta che ogni cosa è una bozza: ti aiuta a fare
    Purtroppo, questo errore lo vediamo in molta produzione degli ultimi anni: smartphone che scoppiano, software pieni di bug, auto che si ribaltano, libri pieni di errori di battitura e tutti una volta già immessi sul mercato. Perché? Perché la partita si gioca sull’essere più veloci della concorrenza, e i crash-test e i controlli di qualità contano meno. L’importante è immettere il prodotto sul mercato il prima possibile, anche se quel prodotto è una “bozza”. 
  3. Non c’è un passaggio di editing
    L’“editing” è il controllo di quanto realizzato per evitare errori e mancanze. Il risultato? Decine di ebook in self-publishing pubblicati con errori da analfabeti, grafiche amatoriali, prodotti scadenti. Succede anche con le fake news: un “giornalista” di un sito web riceve un’informazione e la pubblica immediatamente battendo la concorrenza sul tempo. Peccato, però, che non abbia fatto alcun controllo. Risultato: troviamo tante “bozze”. E’ questo che vogliamo, un mondo di prodotti scadenti? 
  4. Fingere di sapere quello che stai facendo è quasi lo stesso di sapere cosa stai facendo. Quindi accetta che sai cosa stai facendo anche se non lo sai. E fallo.
    Se non sappiamo fare una cosa non possiamo improvvisarla. Se non so cucinare come in “Masterchef”, i miei commensali mangeranno cibo scotto o crudo o addirittura tossico causando loro almeno una intossicazione alimentare. Se non capisco nulla di elettricità e mi metto a rifare l’impianto elettrico di casa rischio di prendermi una scossa anche letale. Potrei andare avanti per ore. Steve Jobs non sapeva programmare, è vero, e infatti lui non programmava nulla, il suo compito era di guidare i programmatori. “Fingere di saper fare” non è come “saper fare”.
  5. Evita la procrastinazione. Se aspetti più di una settimana per realizzare un’idea, abbandonala.
    I grandi successi lo sono diventati perché l’idea è stata sviluppata ed è passata per più fasi ed ognuna necessita del suo tempo per essere definita e focalizzata. Inoltre, se non si mette subito in pratica l’idea, magari è perché ci sono altri impegni più urgenti o improrogabili (tutti dobbiamo pagare le bollette). 
  6. Il bello di aver concluso una cosa non è la sua conclusione, ma che è l’inizio di altre cose da fare
    Questo concetto è alla base del progresso (non mi accontento quindi faccio qualcos’altro), ma ignora la fase “post” che segue la conclusione di un progetto che va cresciuto e studiato per capire cosa è andato bene e cosa no.
  7. Una volta che hai concluso un progetto, puoi buttarlo via
    Immaginiamo di produrre un videogioco e questo ottiene un buon successo. Che faccio, passo a un altro progetto? Ovviamente no, lo riprenderò e lo svilupperò ulteriormente. Lo stesso accadrebbe nel caso di un insuccesso: non butterei via il progetto ma lo migliorerei per trasformarlo in un successo.
  8. Ridi alla perfezione. E’ noiosa e si tiene lontano dalla conclusione delle cose
    Pettis confonde la perfezione con l’insoddisfazione patologica. Realizzare un’automobile che non si ribalta in curva e che non si distrugga completamente durante un banale incidente significa produrre un’auto che abbia delle caratteristiche di perfezione. E questa non è noia, è l’abc. Al contrario, è un concetto giusto in una concezione in cui immetto sul mercato un software pieno di bug che aggiusterò successivamente con buona pace di chi lo acquista subito. Ma non sarebbe giusto neanche in quel caso.
  9. Fare qualcosa ti rende giusto
    Pettis ha ragione, anche se per onestà bisogna ammettere che ci sono millenni di filosofie secondo cui il “non fare” è la via che porta alla felicità…
  10. Fallire conta come aver concluso. Quindi, fai errori
    Il mito del fallimento come passaggio obbligato per il successo è ricorrente nei testi di motivazione, ma la domanda è: se Donald Trump non avesse subìto la bancarotta negli anni ‘90 e se Steve Jobs non avesse toppato con il lancio di alcuni prodotti che l’hanno portato al suo licenziamento e a un passo dalla depressione, sarebbero stati più o meno contenti? La verità è che il fallimento è quello che è, un progetto che non ha avuto successo, da cui bisogna imparare per evitare di commetterne in futuro. Quindi, no a “fallire è ok”, sì a “lavora per evitare errori”.
  11. La distruzione è una variante del fare
    Prendiamo il Colosseo di Roma: se lo distruggessimo per costruirci un centro commerciale avremmo “fatto”, ma sarebbe corretto? “Distruggere” non è come “fare”, anzi, si deve imparare da ciò che c’è già. 
  12. Se hai una idea e la pubblichi su internet, conta come un fantasma del fare.
    Evidentemente Pettis non si fida delle persone perché immagina un mondo in cui se io scrivessi su Facebook “ho trovato il modo per costruire un’auto che va ad acqua” ci sarà qualcuno pronto a rubarmi l’idea. In parte è vero, ma va considerato che ci sono i brevetti e gli avvocati e che se qualcuno vuole fregarti un’idea lo farà anche se è già presente sul mercato: per rimanere agli ultimi anni, guardiamo a Facebook i cui aggiornamenti “geniali” sono le caratteristiche originali dei suoi social concorrenti (ultimamente il più “ispirante” è Snapchat).
  13. Fare è il motore del “più”.
    Qui ha ragione perché i risultati si ottengono facendo qualcosa, ma non facendo per il gusto di fare, bensì cercando di migliorarsi e di crescere attraverso lo studio e la messa in pratica delle nozioni apprese. Non bisogna limitarsi al “fare” perché agire in modo sbagliato porta al “meno”, altro che al più.
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