Evviva la Zona di comfort
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Con questo post imparerai… che tutti i libri di motivazione tendono a considerare la zona di comfort come un nemico da abbattere, e invece no.                  

Praticamente tutti i libri di crescita personale e di auto-aiuto parlano di “zona di comfort”. E ne parlano male perché sembra quasi che sia la causa della disperazione e dello stato di insoddisfazione e di malessere della propria vita. Quante volte avrai sentito o letto frasi come “la vita inizia dove finisce la zona di comfort” oppure “devi uscire dalla zona di comfort e buttarti nella mischia del mondo” e così via. Ogni riferimento è puramente dispregiativo perché intendono come un problema la “zona di comfort”, ovvero quell’area psicologica e fisica di sicurezza in cui ci rifugiamo per non soffrire.
Un esempio classico è: vorrei un lavoro più soddisfacente ma ora ho un lavoro che mi occupa tutta la vita, che mi garantisce uno stipendio, che mi fa dormire sonni tranquilli perché garantisce i miei bisogni di sicurezza (la zona di comfort) mentre invece per migliorarmi dovrei licenziarmi, mettermi a studiare per il nuovo lavoro, reinventarmi, cercare nuovi contatti (uscire dalla zona di comfort).

Questo processo di crescita personale è corretto: se si ha un obiettivo bisogna darsi da fare per raggiungerlo, altrimenti si resta nel campo della lamentela. Però…

 

COSA E’ LA ZONA DI COMFORT
Partiamo dall’inizio. La zona di comfort è quell’ambiente psicologico o anche fisico che ci siamo creati per farci stare bene/sentire al sicuro. Può essere un lavoro, un partner, un hobby, la casa, ognuno ha il suo personale spazio. L’essere umano però non è così. L’uomo preistorico non si accontentava di cacciare a mani nude e ha pensato a usare un oggetto (arma) per per uccidere e mangiare le sue prede. Poi ha pensato a prenderne la pelle per farsi dei vestiti e a trovare un mezzo per riscaldarsi nei periodi freddi (fuoco). Successivamente ha cercato un modo alternativo alla carne per i periodo in cui era difficile cacciare (agricoltura). Questo è l’essere umano, è costantemente “in progress”, sempre alla ricerca di una nuova soluzione che sostituisca la precedente anche se quella tutto sommato va bene. Ovvero: lasciare la sua zona di comfort (cacciare gli animali a mani nude) per cercare nuove soddisfazioni.

 

LA VERITA’ SULL’ABBANDONARE LA ZONA DI COMFORT
Da allora, ovviamente, ne è passato di tempo e ogni persona che abbia vissuto sulla terra ha contribuito a far fare un passo avanti all’umanità. Guardate gli ultimi anni: se Jeff Bezos non avesse deciso di investire in una società di vendita per corrispondenza non avremmo avuto Amazon. Se Steve Jobs non avesse dedicato il suo tempo a costruire dei computer compatti e belli non avremmo la Apple e se Zuckerberg fosse rimasto nella sua zona di comfort (giocare ai videogiochi, bere birra con gli amici e stop) non avremmo avuto Facebook.
La questione però non è zona di comfort sì, zona di comfort no. La questione è: perché cerchiamo altro? E soprattutto, a cosa siamo disposti a rinunciare? Ognuna di quelle persone aveva delle spinte psicologiche e sociali molto forti, erano disposte a perdere tutto perché non avevano granché: erano stati licenziati o si erano dimessi (Bezos) oppure erano studenti disoccupati con tempo da perdere e grandi sogni (Jobs e Zuckerberg). In questi casi la zona di comfort, semplicemente, non esisteva o era compromessa e andava ricostruita. 

Ora, ripensa a tutti quei manuali di crescita personale che fanno esempi di grandi persone che hanno abbandonato la zona di comfort e hanno avuto successo. Segnati i loro nomi e studia la loro storia personale. Quanti davvero hanno lasciato un ambiente tutto sommato sano per un grosso buco nero? Quanti hanno lasciato il certo per l’incerto? Arianna Huffington, Bill Gates, i fratelli Dassler, J. K. Rowling, la sfilza di nomi di persone di successo è lunga e tutti partono da una zona di comfort più o meno inesistente.

 

E’ SBAGLIATO COMBATTERLA
Certo qualcuno che ha lasciato un lavoro sicuro ma insoddisfacente e che poi ha trovato il successo c’è, ovviamente. Si pensi a Carlo Conti che lavorava in banca, a Joe Bastianich che era un broker di Wall Street e tanti altri, ma qui torna la domanda: quanto si è disposti a lasciare uno stipendio fisso, un partner tranquillo, una casa dove riposarsi per qualcosa che può portare al successo (quindi soddisfazione) o all’insoddisfazione (quindi a una situazione peggiore di prima)? Perché Carlo Conti ha lasciato la banca negli anni ’80 e il successo è arrivato più di dieci anni dopo e nel frattempo ha fatto molta fatica. Bastianich ha lasciato il lavoro di broker ma i suoi genitori avevano dei ristoranti quindi anche lui era abbondantemente nella sua zona di comfort.

Ecco perché la zona di comfort va rivalutata e non va combattuta. E’ un obiettivo e quando la si raggiunge si è felici. Poi, e qui torna l’istinto dell’uomo preistorico che è in noi, dopo un po’ ci si annoia e si cerca altro e quello che abbiamo ci sta stretto. Questo è il momento in cui di solito cerchiamo le risposte nei libri e nei corsi di crescita personale e ci lasciamo convincere che “salto nel buio è bello”. Ma quando mai!

 

UN SALTO NEL BUIO? NO GRAZIE
Quello che bisogna fare è fermarsi e chiedersi cosa non ci rende felici. E’ davvero il lavoro? E’ veramente il nostro partner? Seriamente è la casa che abbiamo costruito con cura oppure la città dove abbiamo migliaia di ricordi?

Al 99,9% tutte queste non c’entrano nulla. Possiamo cambiare lavoro, partner, casa e città e dopo poco ci ritroveremmo al punto di partenza. Quindi, se la nostra situazione non ci piace, rimanendo ben saldi dentro la nostra zona di comfort, chiediamoci cosa vogliamo davvero e se non troviamo risposte allora chiediamo aiuto a un professionista qualificato.

Quando si è compreso qual è il vero problema, allora apriremo di nuovo gli occhi e scopriremo che in fondo il nostro lavoro non è male, anzi, è anche divertente frequentarlo. Che il nostro partner è diventato qualcosa che non ci andava bene anche in reazione ai nostri comportamenti. Oppure che la casa è bella e al massimo posso cambiare qualcosa o affittarne/comprarne una nuova ma senza fretta. E che la città offre molto di più di quanto credo.

Risultato: ho ritrovato la felicità senza il famoso “salto nel buio”.

 

IL RISCHIO DI USCIRE DALLA “ZONA DI COMFORT”
Ho già accennato al fatto che se non si capisce lo stato dell’insoddisfazione, poi il problema ritorna. Questo, però, va bene nel caso di un cambiamento positivo, del tipo che lascio il mio lavoro per uno più bello. 

E se invece il cambiamento fosse negativo? Ci ritroveremmo con un pugno di mosche in mano. Avevamo un lavoro retribuito, un partner con cui condividere la vita, una casa. Abbiamo lasciato tutto per? Nessun lavoro perché ci sovrastimavamo e poi ci siamo resi conto che non siamo così competitivi. Nessun partner perché, anche qui, non è che siamo proprio degli adoni o simpaticissimi. Una casa inferiore perché senza un lavoro bisogna ridurre le spese. In compenso in più abbiamo i rimorsi e i “ma chi me l’ha fatto fare”.

 

COSA FARE
Si può uscire dalla zona di comfort, anzi, si deve, ma senza abbandonarla. Considerala una casa dove esci e poi ci rientri. Bisogna certamente capire i reali motivi dell’insoddisfazione, ma anche se non si ha voglia di fare un percorso di autoanalisi, si può sempre programmare tutto senza fare troppi casini. Si vuole cambiare lavoro? Bene, ci si iscrive all’università o ad un corso, si frequentano certi ambienti e solo quando avremo una certezza allora lasceremo il nostro lavoro. Oppure, si può sempre migliorare la propria posizione in azienda. 

E così via. Mollare tutto e ricominciare da zero è estremamente difficile e selettivo e comporta tutta una serie di variabili di cui bisogna tener conto: o si è spalle al muro o si hanno dei fondi da investire senza troppi problemi. Il resto è solo leggenda perché noi vediamo solo il risultato finale, ma nel frattempo il percorso è di grande sofferenza.

 

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